Dopo il divorzio l’orientamento della Giurisprudenza sta notevolmente cambiando, dando rilievo alla posizione che la donna si è conquistata nel tempo. A ben guardare le ultime sentenze e pronunce della Suprema Corte e dei Tribunali sono aderenti al ruolo sociale che la donna ha attualmente. Infatti, a meno di situazioni gravi, la donna è divenuta attiva, dinamica, indipendente ed autonoma. Rimane sempre il pregiudizio della debolezza femminile rispetto ad un immaginario collettivo che reputa ancora oggi l’uomo come fonte generatrice di forza. Eppure tale immagina da un punto di vista sociologico e psicologico sta sciamando, restando confinata sempre di più nella letteratura.
La giurisprudenza sta camminando su una via nuova in cui i diritti ed i voleri così combattuti e finalmente raggiunti dalle donne valgono anche nei casi in cui il vincolo matrimoniale si scioglie definitivamente e gli ex-coniugi devono rimboccarsi le maniche. La donna che è rimasta nella condizione di casalinga non può pretendere l’assegno divorzile solo in forza di detto presupposto.
Precedentemente si è visto come il sacrificio sia l’elemento cardine che possa garantire un riconoscimento economico alla parte più debole. In questa sede analizziamo i motivi per cui un giudice, sulla base delle sentenze recenti, possa negare l’assegno divorzile.
È stata proprio una donna, nel collegio del Tribunale di Treviso, a negare l’assegno divorzile e di interrompere qualsiasi corresponsione economica da parte dell’ex-marito alla ex-moglie “inerte” nella ricerca di una occupazione! Oltre l’inerzia verso un’occupazione lavorativa, alla moglie viene imputata la mancanza di sacrificio durante la vita coniugale (non ha contribuito al ménage familiare né tantomeno ha arricchito il patrimonio dei coniugi stessi ed eventualmente dei figli). Questo sottolinea come l’impossibilità di una carriera lavorativa non derivi da una decisione condivisa della coppia ma dall’esclusivo interesse di agio della ex-moglie.
Analoga situazione vede la Corte di Appello meneghina ridurre l’assegno divorzile ad una donna che, nonostante durante la vita coniugale si era dedicata (in accordo con il marito) alla famiglia ed alla cura dei figli, non si è data abbastanza pena di cercare un’occupazione dopo la separazione. È importante sottolineare come la donna aveva già ottenuto la casa coniugale ed era in possesso sin dalla prima fase della separazione di capacità reddituale e lavorativa. Questi ultimi due elementi sono condizioni sufficienti per la valutazione della riduzione o addirittura negazione dell’assegno divorzile. (riferimento normativo: Corte di Cassazione, sez. I civile, ordinanza n. 10782/19, depositata il 17.4.2019)
Lo stato di disoccupazione della donna, ai fini della possibilità e del valore dell’assegno di mantenimento, deve essere incolpevole. L’aggettivo “incolpevole” si riferisce a fattori esterni e non controllabili dalla volontà della donna. Stato di salute, età, lontananza in termini di tempo dal lavoro e crisi occupazionale derivante dal mercato stesso del lavoro sono i fattori di perturbazione non controllabili. Ma, vanno provati! L’onere della prova è posto a carico della donna! Lei deve dimostrare di non avere né un reddito che riesca a garantirle l’autosufficienza né un’occupazione remunerativa nonostante sforzi dimostrabili di aver cercato lavoro.
Si consideri poi che l’assegno divorzile può essere revocato o modificato in qualsiasi momento se le condizioni della parte più debole mutano.
Insomma, questi orientamenti ed esempi cercano sempre di più di garantire una tutela volta all’equilibrio ed all’abbandono di quell’ideologia ormai superata del vincolo coniugale. Se i due coniugi possono rendersi indipendenti ed autonomi, la giurisprudenza deve garantire tale possibilità, nel rispetto di diritti e doveri dell’uno verso l’altro. Ove non è possibile, verranno garantiti i mezzi di sussistenza necessari affinché la parte più debole possa attivarsi ed essere inserita nuovamente nel circuito sociale e lavorativo.
Ciò che viene chiaramente bandito è e dalla sensazione di “adagiarsi”, troppo comune in taluni casi. Questo aspetto per certi versi pericoloso per la donna (specialmente da un punto di vista psicologico) deve essere eliminato, educando all’apertura di mentalità: anche una casalinga (specie se giovane od in possesso di esperienza e/o titoli) può trovare un’occupazione attivandosi, aderendo a numerose occasioni di formazione.