Oggi giorno molte notizie, fatti di cronaca, riunioni scolastiche ci parlano allarmati di un fenomeno complesso che è il bullismo. Complesso per via della difficoltà nel saperlo trattare e, talvolta affrontare. Abbiamo deciso di parlarne con la Dottoressa Valentina Lombardi, psicologa clinica, (www.goccedipsicologia.it/chi-
Il termine “bullismo” si riferisce a comportamenti (uso volontariamente il plurale) aggressivi e persecutori messi ripetutamente in atto nei confronti di persone non in grado di difendersi. Affinché un comportamento violento possa rientrare in questa categoria deve avere tre caratteristiche:
Il comportamento del bullo si manifesta tramite offese e insulti, prese in giro per l’aspetto fisico o per alcune caratteristiche/atteggiamenti, diffamazione, esclusione sociale della vittima, fino ad arrivare a vere e proprie aggressioni fisiche.
Il bullismo è un fenomeno che riguarda i bambini in età scolare. Nella maggior parte dei casi interessa bambini dai 7 anni in su, con una maggior prevalenza nella fascia di età 10-13 anni. Sono invece meno frequenti ma non inesistenti i casi di bullismo nella Scuola dell’Infanzia. Il contesto scolastico rappresenta il primo grande ambiente in cui i bambini sperimentano le proprie capacità sociali e di relazioni con i pari. Non ci si può quindi stupire se è proprio nel periodo scolare che eventuali difficoltà di comunicazione e relazione con i compagni sfocino in atti di bullismo.
Sebbene ogni bambino abbia reazioni diverse agli atti di bullismo di uno o più compagni, si possono individuare alcuni comportamenti che devono costituire un campanello d’allarme per genitori ed insegnanti. Bambini che improvvisamente fanno i capricci per andare a scuola, lamentano numerosi sintomi somatici (tra i più frequenti mal di testa e mal di pancia), appaiono tristi o spaventati o manifestano addirittura il desiderio di cambiare scuola potrebbero essere vittime di atti di violenza a scuola. Ovviamente tali segnali non costituiscono prova certa di episodi di bullismo ma meritano, in ogni caso, un approfondimento. Di fronte a comportamenti simili è importante che le figure di riferimento adulte si rendano disponibili all’ascolto del bambino in un clima empatico e non giudicante o punitivo. La collaborazione Scuola-Famiglia può contribuire a stabilire l’origine del disagio e ad arginare sul nascere eventuali atti persecutori o violenti.
I protagonisti degli episodi di bullismo sono almeno due: il bullo e la vittima. Eventuali “osservatori passivi” possono poi rendere più complessa la dinamica e il contesto entro cui si sviluppano tali comportamenti. Il bullo è colui che mette in atto i comportamenti di oppressione e prevaricazione fisica o psicologica, mente la vittima è la persona che subisce tali episodi di violenza, con effetti negativi più o meno visibili.
In letteratura il bullo viene descritto come una persona sicura di sé solo in apparenza. I comportamenti di prevaricazione nascondono infatti un’autostima fragile, difficoltà relazionali e debolezze nella cosiddetta “intelligenza emotiva” che comprende il corretto riconoscimento delle emozioni proprie e altrui e la sperimentazione di sentimenti quali l’empatia. Le difficoltà relazionali sono spesso spiegate anche da criticità nello sviluppo di adeguate abilità di dialogo e confronto. Recenti studi associano alla figura del bullo anche un deficit delle funzioni esecutive, in particolare nella capacità di pianificazione del comportamento e dell’inibizione della risposta impulsiva.
La vittima è di solito un bambino o ragazzo emotivamente fragile, dalla scarsa stima di sé e con difficoltà nell’esprimere sé stesso e le proprie opinioni in modo assertivo. È un bambino poco estroverso, generalmente a proprio agio solo in un gruppo molto ristretto di persone fidate e che sperimenta di frequente sentimenti come paura e senso di colpa.