La decisione dello scorso anno ha certamente smosso un assioma nel diritto di famiglia e cioè, l’assegno divorzile in favore del coniuge più debole può venir meno.
Interrogandoci sullo spirito che ha mosso i giudici ad arrivare a tale conclusione è il notevole cambiamento della posizione sociale e familiare di entrambi i coniugi.
Il coniuge più debole, a meno di incapacità, prove certe e dimostrabili, possiede tutte i requisiti fisici e mentali per avere una condizione economica ed un tenore di vita tale da poter auto-sostenersi mantenendo quindi un tenore di vita assolutamente conforme al precedente (per maggiori dettagli si legga la sent. n. 11870/2015).
Il punto di arrivo è nella sentenza n. 11504 del 10 maggio 2017
Si abbandonano le vecchie idee per arrivare a delineare il vero scopo dell’assegno di mantenimento per il coniuge che versa in condizioni difficoltose. L’assistenza è obbligatoria ma non è volta ad assicurare una “rendita” mensile da un matrimonio i cui effetti sono cessati.
L’aspetto su cui vale la pena discutere e riflettere è la possibilità di introdurre patti prematrimoniali con cui stabilire in precedenza, qualora il matrimonio finisse, come regolare il futuro dei coniugi con e senza figli: insomma il matrimonio è prodotto da scelte e libertà, perché rinunciarvi a tali principi?
È chiaro che la valutazione del “se” e del “quanto” implica una visione oltre che della capacità, della possibilità di un coniuge di mantenere un tenore di vita simile o uguale al precedente. Queste parole vogliono ricordare che il benessere e la tutela dei figli sono sopra ogni cosa ma, certamente tale aspetto è assolutamente nelle prime valutazioni delle aule dei tribunali.
“superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva” perché è “ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile. Si deve quindi ritenere che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale”
“… l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, che deve al riguardo tenere conto non solo dei redditi in denaro ma anche di ogni utilità o capacità dei coniugi suscettibile di valutazione economica […]l’attitudine del coniuge al lavoro assume in tal caso rilievo solo se viene riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale, e non già di mere valutazioni astratte e ipotetiche.”
“Per indipendenza economica deve intendersi la capacità per una persona adulta e sana – tenuto conto del contesto sociale di inserimento – di provvedere al proprio sostentamento, inteso come capacità di avere risorse sufficienti per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali) […] Un parametro (non esclusivo) di riferimento può essere rappresentato dall’ammontare degli introiti che, secondo le leggi dello Stato, consente (ove non superato) a un individuo di accedere al patrocinio a spese dello Stato (soglia che, ad oggi, è di euro 11.528,41 annui”