Mobbing e non solo…
In questi ultimi anni si è rafforzato ed intensificato lo studio relativo alla problematica del mobbing che vede doppi protagonisti:
- da una parte il soggetto che pratica la violenza psicologia di questo fenomeno,
- dall’altra il soggetto che subisce tale violenza.
Durante il lungo periodo vessatorio subito sul luogo di lavoro, la vittima perde il ruolo iniziale, cioè non ha più influenza, il rispetto degli altri, il potere decisionale, la fiducia in se stessa, gli amici, l’entusiasmo nel lavoro e la propria dignità (Pedon, Maeran, 2002)
Il mobbing ha assunto diverse forme, o meglio, data l’importanza di questo “triste” e “rovinoso” meccanismo psicologico, lo studio approfondito ha portato a distinguere differenti forme: vediamole insieme, configurando situazioni possibili per spiegare al meglio in cosa consistono!
Mobbing : situazione 1
“sono stato demansionato, mi hanno tolto progressivamente lavoro e collaboratori, di frequente mi arrivano rimproveri scritti, la mia richiesta di permesso è stata rifiutata e i colleghi nei casi più fortunati non mi rivolgono la parola…”
Il lavoratore subisce sistematicamente nel tempo, umiliazioni, emarginazioni, atteggiamenti di esclusione e frustrazione da parte di altri lavoratori. Questa associazione di comportamenti oppressivi, vessatori hanno un unico scopo e proprio in virtù di questo configurano il “mobbing”. Infatti, presi singolarmente potrebbero avere anche un fondo di legittimità. Inoltre chi sostiene di essere vittima di mobbing deve dimostrare il danno alla propria integrità psicofisica derivante da tali comportamenti.
Gerarchia del mobbing
- mobbing verticale: le condotte vessatorie ed umilianti e i tratti caratteristici del mobbing sono rivolti al lavoratore da capo dell’uffficio
- mobbing orizzontale: il lavoratore subisce tali comportamenti dai colleghi
- mobbing ascendente: il lavoratore (gerarchicamente un superiore) subisce le offese sistematiche e gli atteggiamenti frustranti dai sottoposti / dipendenti o comunque posti inferiormente nell’organigramma aziendale.
Straining: situazione 2
“sono stato vittima di comportamenti frustranti, atteggiamenti che mi hanno escluso e che hanno recato danno sia a livello fisico che mentale… non posso dire che sono stati sistematici, questo no! Però ci sono stati magari, avevano scopi differenti…cosa posso fare?”
Quando non c’è l’elemento della continuità nelle condotte vessatorie che colpiscono il lavoratore, la cui integrità psico – fisica viene meno, si è davanti ad una forma più tenue di mobbing che è lo “straining”. In tal caso tutti questi eventi isolati nel tempo vanno a ledere l’integrità del lavoratore e la sua salute che ne risulta alterata. Nello straining manca il fattore quantitativo ossia la sistematicità ma resta lo scopo e gli effetti prodotti da questi eventi umilianti e frustranti.
(per leggere approfonditamente la sentenza, cliccate qui Cass. sent. n. 3977/18 del 19.02.2018)
Bossing: situazione 3
“ho il terrore di andare al lavoro, il mio titolare continua a rimproverarmi, mi rende nervoso, continua ad avere atteggiamenti scontrosi.. mi affida incarichi ripetitivi che non mi competono, non ne posso più!”
Si configura il fenomeno di bossing che è operato dai superiori verso i sottoposti per differenti motivi con lo scopo unico di costringerlo alle dimissioni non potendolo licenziare per giusta causa o perché comunque le procedure sono lunghe e talvolta onerose. Il superiore attua diverse modalità per costringere il dipendente a dare le dimissioni, minando comunque la sua salute. Alcuni esempi sono:
- il demansionamento,
- la circolazione di svariate liste nere con i nomi delle persone che vanno “tolte” dall’azienda,
- la negazione di colloqui con il dipendente se egli li richiede,
- incaricare altri colleghi ed istruirli nel caso facciano domande per comprendere il cambiamento della situazione,
- accentuare i conflitti interni…
L’esito finale è che
La persona prova un irreversibile senso di vuoto e di mancata comprensione del cambio di atteggiamento nei suoi confronti, sentendosi addirittura in colpa, con una conseguente diminuzione dell’autostima (Ege, 2001)