1) Fase di separazione (assegno di mantenimento)
Il valore significativo di tale assegno mira a ridurre il divario economico tra i coniugi, cercando di equilibrare e rendere il più omogeneo possibile il tenore di vita. In questa fase esiste ancora il vincolo coniugale benché con il verbale di separazione o la sentenza il giudice autorizzi i coniugi a vivere separatamente.
2) Fase di divorzio (assegno divorzile)
Il senso della richiesta di mantenimento diventa la necessità. Non è più una garanzia sul tenore di vita ma un aspetto radicalmente differente. Il coniuge più debole fa vantare il diritto al mantenimento per uno scopo ben preciso: le sue singole forze non garantiscono il minimo indispensabile per sostenere la quotidianità in relazione alla vita coniugale passata. Certo, questo aspetto va dimostrato e deve essere più che giustificato! A tal riguardo la giurisprudenza sta delineando una prospettiva totalmente innovativo rispetto al passato, in virtù di un cambiamento dettato anche dagli aspetti comportamentali sia della donna e dell’uomo, i componenti della coppia, che ormai hanno acquisito competenze e posizioni sociali nonché personali sempre più equilibrate, attive ed indipendenti. Ed è in questa proposizione che si incarna l’orientamento della Cassazione ed ultimamente del Tribunale Trevigiano!
Deve esistere un divario economico tra i due coniugi ma ne vanno investigate le cause! Esse devono dimostrare le evidenti difficoltà nel trovare un’occupazione che garantisca un reddito. Perciò la parte più debole per ottenere l’assegno divorzile deve dimostrare che la condizione di povertà è dettata da fattori esterni indipendenti dalla persona stessa.
Alcuni esempi sono:
- età
- salute
- crisi del mercato del lavoro
- sacrificio sostenuto per occuparsi della propria famiglia (coniuge e figli) abbandonando per scopi onorevoli, qualsiasi possibilità e contatto con la sfera di carriera e lavoro.
Ponendo l’accento sull’ultimo punto diviene evidente che più duraturo è stato il vincolo coniugale maggiore sarà il valore dell’assegno divorzile (sempre che il reddito dell’ex-coniuge sia elevato). Il coniuge che ha svolto le mansioni da “casalinga” estraniandosi dal mondo lavorativo per esigenze familiari, in concerto con il partner, è ricompensato in misura notevolmente maggiore rispetto a chi non ha sacrificato nulla. Ecco, il sacrificio diventa il discriminante per comprendere significato e valore dell’assegno divorzile. Se esiste un divario è necessario identificarne la causa che deve obbligatoriamente essere esterna ed indipendente dalla volontà del coniuge debole, foss’anche, per l’appunto, la donna casalinga. Infatti, in quest’ultimo si rende indispensabile provare che la decisione circa il ruolo della casalinga sia stata condivisa con il marito.
Chiaramente l’onere della prova per la richiesta dell’assegno è a carico del coniuge richiedente. Ciò svincola l’assegno divorzile dal rappresentare una “entrata statica”.
Il giudice è abilitato al diniego del sostentamento economico in fase divorzile in varie casistiche:
- il coniuge debole ha un’età in cui può attivarsi per trovare un’occupazione anche in forza della sua formazione scolastica o esperienziale.
- il vincolo coniugale è relativamente breve (meno di cinque anni) e viene meno il punto discriminante del sacrifico, specialmente se la rinuncia al lavoro è una scelta personale e non condivisa.
- Il coniuge debole ha la possibilità di estendere l’attività lavorativa da parziale a totale e non ha provato concretamente quanto la propria condizione di povertà sia imputabile a fattori esterni o estremi.
Il giudice nello stabilire se vi è la necessità dell’assegno divorzile per la parte più debole ed il rispettivo valore, deve considerare ben quattro componenti: perequativo-compensativa (in relazione al tenore di vita), assistenziale, di auto-responsabilità (circa l’attivarsi per rendersi autonomi ed indipendenti), solidarietà (la parte più debole in presenza del proprio sacrificio volto alle esigenze familiari deve essere tutelata). Queste sentenze aprono ancora di più ad interpretazioni che esigono studi sui singoli casi dettando l’impossibilità di generalizzazioni.
Riferimenti normativi
- Cass. S.U. sent. n. 18287/18 dell’11.07.2019 e Cass. sent. n. 11504/17 del 10.05.2017.
- Trib. Treviso, sent. 8.01.2019