Raccogliere prove è importante e, per raggiungere questo scopo si impiegano tutti i mezzi possibili. Il quesito da porsi e sul quale consultarsi con professionisti è la legittimità delle proprie azioni. Provare qualcosa mediante registrazione di conversazioni telefoniche, produzione di immagini tratte dal profilo Facebook, raccolta di e-mail dalla casella lasciata erroneamente aperta dal proprietario, non sempre è lecito.
La prova è regina di un processo se legittima e non si scontra con la tutela della privacy.
Raccogliere prove / Registrazioni conversazioni telefoniche
- La registrazione della voce di una persona mentre parla e discute, eseguita senza che il soggetto ne sia a conoscenza, è possibile solo in determinate condizioni.
- Il luogo in cui si effettua la registrazione deve essere pubblico; nel caso si tratti di riunioni, il soggetto che registra deve essere presente; è possibile registrare anche conversazioni telefoniche.
- La registrazione è illecita quando viene effettuata in quei luoghi in cui il soggetto registrato si muove (luogo di lavoro, residenza, automobile di proprietà) ed in quelle situazioni tipicamente intime e private (conversazione con il coniuge dentro l’abitazione, rapporti sessuali).
- La registrazione lecita non può essere pubblicata a meno di nascondere l’identità del soggetto registrato, se illecita non è legittima come prova processuale. Una registrazione illecita può essere oggetto di querela proposta dal soggetto registrato.
Raccogliere prove/ Immagini e messaggi da Facebook, e-mail, telefoni
- L’orientamento a cui aderiscono la maggior parte dei giudici, sulla scoperta di un tradimento o qualcosa di illecito accedendo alla casella e-mail, al telefono o al profilo Facebook del sospettato, è la configurazione di un reato di violazione alla privacy per chi lo commette. Infatti, anche se il proprietario degli account e del telefono lascia aperte le pagine ed incustodito l’I-phone, ha il diritto a non essere leso facendo valere il principio di tutela della vita privata.
- Un orientamento abbracciato da una minoranza di giudici (Tribunale di Torino e Roma) invece, afferma che non è reato “spiare” messaggi e profili altrui se il proprietario ha lasciato incustoditi i propri accessi. Inoltre, nei casi si tratti di coniugi è comprensibile che gli spazi di abitazione sono condivisi ed è difficile parlare di privacy in senso stretto. Infine alcuni giudici possono richiedere tabulati telefonici ed accesso ai social personali con giuste motivazioni.