Compenso avvocato 2018 – cosa è cambiato: in un’epoca in cui l’attività forense è alla riscoperta del prestigio intrinseco ed innegabile, gli onorari dell’avvocato, alla luce del nuovo decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale (D.M. n. 37 dell’8 Marzo 2018 in vigore dal 27 Aprile scorso) stanno facendo emergere l’antica dignità del lavoro svolto dal professionista forense, assicurandone e garantendone la qualità (ed anche la quantità) dell’opera e tramutando questa in una parcella conclusiva di valore, non inteso come mero “strumento economico e di guadagno” ma come mezzo di prova che dimostri l’impegno, la professionalità, i principi sottesi alla figura ed al ruolo dell’avvocato.
Il compenso dell’avvocato letta attraverso il decreto ministeriale n.37/2018
Il decreto citato apporta modifiche importanti al D.M 55/2014 “concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della Legge 31 dicembre 2012, n. 247” tra cui:
- l’introduzione della tabella 25-bis specifica per i procedimenti di mediazione e la procedura di negoziazione assistita (sono previste tre fasi con i relativi compensi, suddivise per scaglioni di valore da individuare in base al valore della controversia stessa).
In sede giudiziale sono previste le seguenti modifiche (si riportano le citazioni del decreto):
- un aumento del 30% quando gli atti depositati con modalità telematiche sono redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all’interno dell’atto;
- quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 30% (prima era il 20%), fino a un massimo di dieci soggetti, e del 10% (prima il 5%) per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di trenta (prima 20);
- nel caso di giudizi innanzi al Tribunale amministrativo regionale e al Consiglio di Stato il compenso relativo alla fase introduttiva del giudizio è di regola aumentato sino al 50% quando sono proposti motivi aggiunti;
- Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati di regola sino all’80 per cento, ovvero possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50 per cento. Per la fase istruttoria l’aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione in ogni caso non oltre il 70 per cento;
- per l’attività penale è introdotto “il numero di atti da esaminare” da considerare quando si calcola il compenso finale.
L’onorario dell’avvocato e l’equo compenso
Definizione di equo compenso: nato dal decreto fiscale del 2017 (modificato in parte dalla legge di bilancio 2018), l’equo compenso è il compenso finale che contempla l’attività svolta in termini qualitativi e quantitativi, considerando il contenuto, le caratteristiche, il pregio della prestazione svolta, in conformità ai parametri dettati dal decreto ministeriale attualmente vigente per gli avvocati.
Per le normative di riferimento sull’equo compenso: legge 172/2017 di conversione del decreto fiscale 2018 (d.l. 148/2017), come modificata dalla legge di bilancio per il 2018 (l. 27 dicembre 2017, n. 205), introduzione dell’art. 13-bis alla legge 247/2012.
L’equo compenso non si applica però a tutti i tipi di rapporti contrattuali tra professionisti e clientela, bensì riguardano solo rapporti con una clientela particolare. Infatti, sono regolati dall’equo compenso i rapporti contrattuali regolati da convenzioni unilaterali predisposte da clienti “forti” ad esempio, imprese bancarie, assicurative e che comunque non rientrano nelle piccole, medie e micro imprese.
Le convenzioni unilaterali tra avvocati e dette imprese, si presumono essere predisposte, scritte dalle imprese, salvo prova contraria.
Un esempio
Se nella convenzione tra una banca od un’assicurazione e l’avvocato, c’è la presenza di una clausola capestro (condizione sfavorevole a chi presta la propria attività), ciò significa che se il giudice liquida all’avvocato le spese legali per una cifra maggiore rispetto a quella concordato in convenzione, la differenza in eccesso va alla banca od all’assicurazione.
Le clausole vessatorie: definizione
Sono clausole contenute in un contratto che danno un vantaggio a chi propone il contratto, ed uno svantaggio al consumatore che lo accetta.
L’art. 1341 c.c. che tratta le “Condizioni generali di contratto”, al secondo comma dispone che “in ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità , facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze , limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi , tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria”.
È importante che nell’accettare la convenzione si presti la massima attenzione alle clausole contenute, specie da parte dell’avvocato. Detto ciò in una convenzione le clausole vessatorie sono da considerarsi nulle nonostante la validità del resto della convenzione. Inoltre la nullità è a vantaggio del professionista.
Il giudice al quale il professionista si rivolge nel caso non vi sia l’equo compenso, provvede a valutare e dichiarare nulle le clausole vessatorie, calcolando il giusto compenso avvocato 2018 (secondo i parametri vigenti).
Il Consiglio nazionale forense ha formato il nucleo di monitoraggio sulla corretta applicazione dell’equo compenso da parte dei clienti forti (banche, assicurazioni…) e dei parametri da parte dei giudici e periodicamente predisporrà sintesi e risultati dei lavori.