L’abitazione condivisa durante il periodo di convivenza dei partner, che non formalizzano la loro unione in un matrimonio, è oggetto di potenziali tensioni all’indomani della cessazione dell’affectio. La casa è primario ambito di condivisione delle reciproche vite quotidiane e resta il simbolo del loro status di conviventi.
Riparto di convivenza
Analizzando la natura giuridica della casa familiare, va osservata la varietà di scenari che si profilano.
- I due conviventi possono essere entrambi proprietari della casa. Trattasi di mera comunione. Ne consegue che, cessato il rapporto di convivenza, i due partners, hanno tre alternative. Divisione dell’immobile, vendita dello stesso a terzi oppure cessione della propria quota a favore dell’altro.
- Uno solo dei due conviventi è proprietario dell’abitazione. Come viene qualificato l’altro coniuge non proprietario? A seguito dell’evoluzione sociale della situazione di convivenza e a seguito del percorso giurisprudenziale interpretativo del fenomeno, il convivente privo di iure proprietatis è considerato detentore qualificato. La sua non è una condizione equiparabile a quella di un ospite o di un tollerato. Ciò in ragione della tendenziale stabilità della relazione familiare, caratterizzata da una comunanza di vita e interessi e da una reciproca assistenza morale e materiale. Ne consegue che, a fronte della cessazione della convivenza potrebbero applicarsi le regole del comodato.
Orientamento giurisprudenziale
La Cassazione con le sentenze n. 7214/13 e n. 7/14 recupera l’importanza del ruolo che ad oggi assume l’istituto della convivenza more uxorio da un punto di vista sociale. Definisce i termini di rilevanza giuridica della figura in oggetto. La giurisprudenza si sofferma a ricercare soluzioni coerenti con l’ordinamento nell’ipotesi in cui il convivente proprietario muoia e il superstite non lasci la casa familiare. In tale ipotesi, non essendo il convivente possessore del bene, la casa non può essere da lui usucapita. Tuttavia, lo status di detentore qualificato, permette al suddetto superstite di permanere nella casa fino a quando non trovi un’ulteriore sistemazione. Potrà, quindi, a fronte di una estromissione violenta e clandestina da parte degli eredi del de cuius, ricorrere ad un’azione di reintegra ex articolo 1168 c.c.
I principi alla base di questo orientamento giurisprudenziale annidano nella buona fede e nella correttezza. Anche in caso di rottura dell’affectio, queste coordinate non vengono disattese. Il partner proprietario che intende recuperare l’esclusivo utilizzo del bene immobile, deve in primo luogo avvisare il convivente. In secondo luogo, deve concedergli il tempo per reperire altra sistemazione. Il ricorso alle classiche azioni del diritto comune a sua disposizione sono da considerare l’ultima soluzione percorribile.
Come si inserisce la L. Cirinnà in questo quadro?
La L. 76/16 accoglie l’orientamento della Cassazione in merito al caso in cui solo uno dei due conviventi sia proprietario della casa e ricapitola sul punto.
- In caso di morte del convivente proprietario: articolo 1 commi 42-44 L.76/16. Il convivente superstite ha diritto a continuare ad abitare in casa per due anni (che diventano tre ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite) o per un periodo pari alla convivenza, se superiore, e comunque non oltre cinque anni. Il diritto viene meno se il convivente cessa di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o contrae matrimonio o intraprenda una nuova convivenza. In sostanza, si configura un diritto di abitazione assimilabile a quello previsto per il coniuge ex art. 540 c.c.
- In caso di rottura del rapporto di convivenza:
Nell’ipotesi di mera convivenza more uxorio: il proprietario potrà agire per il rilascio dell’abitazione con i rimedi del diritto comune a tutela della proprietà, facendo valere l’insussistenza di un legittimo titolo abitativo.
Nell’ipotesi di convivenza retta da contratto (art.1 co. 51,… L. 76/16): colui che ha la disponibilità esclusiva della casa familiare ha l’onere, a pena di nullità, di fissare all’altro soggetto, nella dichiarazione di recesso, un termine non superiore a 90 giorni per il rilascio dell’abitazione. Successivamente, il disponente potrà agire nei confronti dell’altro convivente per il rilascio e per la condanna all’indennità decorrente dalla scadenza del termine.
Ultima precisazione: il convivente che per un periodo gode in modo esclusivo del bene deve un indennizzo per l’occupazione?
La risposta potrebbe essere positiva, considerando che il semplice godimento esclusivo non può assumere l’idoneità a produrre pregiudizio in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza.