Aggravante di crudeltà, si o no?

Nonostante la gravità dell’omicidio, la Corte ha stabilito che non vi fossero elementi sufficienti per affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che Filippo Turetta avesse l’intento di provocare sofferenze ulteriori a Giulia Cecchettin. Le immagini riprese da alcune telecamere mostrano l’aggressione: Turetta colpisce con 75 coltellate, ma in modo caotico, rapido, quasi inconsapevole. Secondo i giudici, questo comportamento sarebbe riconducibile all’inesperienza e alla confusione emotiva dell’imputato nel compiere un atto così estremo.

Facendo riferimento alla giurisprudenza, la Corte ha ricordato che la crudeltà, per essere configurata come aggravante, deve manifestarsi attraverso un accanimento deliberato e non necessario per portare a termine l’omicidio. Non è sufficiente, infatti, un numero elevato di colpi a dimostrare tale aggravante. A parere dei giudici, non emergono segni di una volontà di accanimento ulteriore, bensì di una determinazione omicida concretizzatasi con modalità inefficaci, ripetute nel tempo più per inadeguatezza che per sadismo. Infatti la sentenza sottolinea:

“L’azione è efferata, il gesto deciso, motivato da ragioni ignobili e retrive di dominio e controllo, caratterizzate da viltà e disprezzo, e da una totale intolleranza verso l’autonomia personale della giovane donna, della cui libertà di scelta l’imputato non riusciva ad accettare neanche le manifestazioni più semplici.”

Ma come definisce la legge la crudeltà?

Nel diritto penale italiano, l’aggravante della crudeltà è disciplinata dall’art. 61 n.4 del codice penale, che elenca le circostanze che possono portare all’ergastolo, come ad esempio anche la premeditazione (riconosciuta al Turetta). La crudeltà viene riconosciuta quando il modo in cui viene compiuto il reato evidenzia chiaramente l’intenzione di infliggere alla vittima sofferenze ulteriori, non strettamente necessarie alla realizzazione dell’evento letale. Si tratta di un “di più” rispetto all’atto omicidiario, che rende l’azione ancora più riprovevole per l’inutilità e la brutalità delle sofferenze inflitte, rivelando un’indole particolarmente crudele e priva di ogni senso di compassione umana.

Un caso di femminicidio simile a quello di Giulia Cecchettin è quello di Giulia Tramontano, 29enne incinta di sette mesi, è stato uccisa con 37 coltellate dal compagno Alessandro Impagnatiello dopo che ella scoprì di copiosi tradimenti dello stesso con una collega di lavoro. In questo caso i giudici della Corte d’Assise di Milano hanno riconosciuto l’aggravante di crudeltà all’imputato poichè Giulia è stata colpita con 37 coltellate, di cui 11 inflitte mentre era ancora viva. Inoltre, la vittima era al settimo mese di gravidanza, e la consapevolezza, seppur per pochi istanti, che anche il figlio che portava in grembo stava morendo, ha causato una sofferenza ulteriore, crudele e assolutamente non necessaria. Nella sentenza si legge: “quello che emerge e connota di particolare disvalore la condotta, e la qualifica come manifestazione di efferatezza, non siano soltanto i 37 fendenti inferti sul corpo della vittima, ma il fatto che ben 11 di essi siano stati inferti allorché la vittima era ancora viva, nonché il fatto che la stessa fosse in stato avanzato di gravidanza, e portasse in grembo il figlio dello stesso reo”.

In conclusione, i casi di Giulia Cecchettin e Giulia Tramontano mettono in luce come la giustizia italiana si confronti, caso per caso, con la complessità emotiva, psicologica e giuridica che caratterizza i femminicidi. Sebbene entrambi gli episodi siano accomunati da una violenza estrema, la valutazione delle aggravanti – in particolare quella della crudeltà – dipende da elementi ben precisi e rigorosi stabiliti dal diritto penale. Nel caso Turetta, la Corte non ha ravvisato la volontà di infliggere sofferenze superflue, mentre nel processo contro Impagnatiello, la consapevolezza del dolore arrecato a una donna incinta e la reiterazione conscia dei colpi sono stati ritenuti sufficienti a configurare tale aggravante. Due drammi profondamente simili nei loro esiti, ma giuridicamente distinti nella valutazione delle intenzioni e delle modalità, a dimostrazione della delicatezza e della precisione richieste nel bilanciamento tra diritto, etica e giustizia

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